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Il Papa torna dall’Egitto: Sul caso Regeni la Santa Sede si è mossa

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

Papa Francesco accoglie l’appello dei genitori di Giulio Regeni. Nell’intervista sul volo di ritorno dal Cairo con i giornalisti del seguito non parla dell’incontro a porte chiuse con Al Sisi perché “se un colloquio è privato per rispetto si deve mantenere la riservatezza”. Però si dice “preoccupato” e assicura di essersi mosso dalla Santa Sede, su sollecitazione dei genitori del ragazzo ucciso in Egitto.

Durante le 27 ore in cui è stato al Cairo, più volte ha insistito sull’importanza del rispetto dei diritti umani. Il Paese presieduto da Al Sisi non offre molte garanzie e Bergoglio preferisce parlare di “valori inalienabili” senza entrare nella politica interna. Dice di essere spesso stato ‘accusato’ di strigliare i governi, “perché ogni governo ha le sue debolezze”. Invece, precisa, “io non m’immischio, io parlo dei valori. Ognuno li giudichi”.

L’appello ai leader della Terra per porre fine alla “guerra mondiale a pezzi” però c’è. E’ quello a scegliere di percorrere le vie della diplomazia ed è diretto, in particolare, agli Stati uniti e alla Corea del Nord. “La gente ha paura – gli viene chiesto – cos’ha da dire ai responsabili di queste nazioni che parlano di guerra nucleare come fosse niente?”. “Li richiamo e li richiamerò”, afferma, a lavorare per “risolvere i problemi percorrendo la strada del negoziato”, se serve anche con l’aiuto di Paesi che si offrono di essere mediatori, “come la Norvegia ad esempio”.

I “pezzi” di questa guerra “si sono concentrati in punti che già erano caldi. Io richiamo sempre a risolvere i problemi usando la chiave diplomatica, perché stiamo parlando del futuro dell’umanità. Oggi l’umanità non è capace di sopportare un’altra guerra terribile. Guardiamo ai Paesi che già la stanno vivendo, alla Siria, all’Africa, allo Yemen. Fermiamoci”. E’ ora che le Nazioni Unite riprendano in mano la leadership, esorta, che si è “annacquata”.

Anche il Vaticano, sulla via del negoziato, si è proposto come “facilitatore” del dialogo per la pace in Venezuela e si ripropone oggi, come lo scorso anno, ma – è la prima volta che lo chiede esplicitamente – con “condizioni molto chiare”. “Qualcosa si muove”, ma non c’è niente di sicuro. “Tutto ciò che si può fare per il Venezuela si deve fare con le garanzie necessarie. Altrimenti giochiamo al ‘tintìn pirulero’ (gioco argentino in cui ognuno si preoccupa solo della sua posizione, ndr)”.

Poi scioglie i dubbi sull’udienza a Donald Trump in Vaticano. Il presidente statunitense sarà in Italia a maggio, per il G7 di Taormina. Le visioni del mondo diametralmente opposte dei due avevano indotto qualcuno a pensare che fosse proprio Bergoglio a non voler dare udienza al magnate americano. “Non sono stato informato dalla Segreteria di Stato di alcuna richiesta – fa sapere – ma io incontro tutti quelli che me lo chiedono”.

Nel suo discorso ad Al-Azhar, ieri, il Papa argentino ha denunciato il dilagare di “populismi demagogici”, ed è proprio su questi, ripete con le elezioni francesi alle porte, che l’Europa “rischia di sciogliersi”. Il problema che la spaventa “è forse l’immigrazione”. Non dimentichiamo che l’Europa è stata fatta da secoli e secoli di migranti. E’ un problema che si deve studiare bene rispettando le opinioni. Serve una grande politica”.

E invece nella civilissima Europa i migranti sono trattati come deportati in “campi di concentramento”. Lo aveva detto qualche giorno fa, lo chiarisce anche oggi: “Non era un lapsus”. Alcuni campi per rifugiati sono “campi di concentramento”, anche in Italia, che pure “insieme alla Grecia” è il Paese europeo “più generoso”. Però essere rinchiusi “senza avere la possibilità d’uscire” non può essere definito in altri termini che “lager”.

Sul volo di rientro, a chi gli chiede cosa vuol dire ai leader che mettono in pericolo la popolazione mondiale parlando di guerra nucleare, ripsonde: “Richiamo e richiamerò” gli Stati uniti e la Corea del Nord a lavorare per “risolvere i problemi percorrendo la strada della diplomazia”. E aggiunge: “Ci sono Paesi – afferma Bergoglio – che si offrono di essere mediatori, come la Norvegia ad esempio. La strada è quella del negoziato, della soluzione diplomatica”. I “pezzi” della “guerra mondiale a pezzi” di cui parla dall’inizio del suo pontificato, “si sono concentrati in punti che già erano caldi. Io richiamo sempre a risolvere i problemi usando la chiave diplomatica, perché stiamo parlando del futuro dell’umanità. Oggi l’umanità non è capace di sopportare un’altra guerra terribile. Guardiamo ai Paesi che già la stanno vivendo, alla Siria, all’Africa, allo Yemen. Fermiamoci”.
 

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