Alessio Stazi è un giovane italiano trasferitosi a Barcellona, presente sulle Ramblas al momento dell’attentato. Era lì su quella strada famosa in tutto il mondo quando ha visto un furgone bianco puntare i pedoni e investirne a decine, uno dopo l’altro. “Sono vivo solo perché non sono riusciti ad ammazzarmi, ma io ero lì nel mezzo, li ho visti, in pochi secondi ho visto uccidere non so quante persone di fronte ai miei occhi”, sono queste le sue parole a poche ore dall’accaduto. Le ha scritte a caldo, sul suo smartophone, sul suo profilo Facebook per far sapere ad amici e parenti di stare bene e anche per sfogarsi. “Mi sono ritrovato chiuso in un sottoscala di un negozio e non so neanche come ci sono arrivato, non so dove sono i miei amici e non capisco ancora cosa cazzo sia successo”.
Due ore dopo aggiunge un altro post sul social network, più lungo, più dettagliato, in cui racconta l’orrore di sentirsi a un passo dalla morte e se la prende con le pattuglie della polizia spagnola presenti sulle Ramblas. “È stato terribile. É stato terribile percepire di essere nel mirino, puntato dal camion, é stato terribile vedere persone colpite volare via di fronte a me, é stato terribile scappare via con la paura di essere uccisi”. Le pattuglie, dice, “sono sempre pronte e presenti per una quantità infinita di stronzate: dal pischelletto che va in giro in bici sulla rambla, al turista che beve una bottiglia, quello che tira la cartaccia, al ragazzo di colore che non può vendere un paio di scarpe come se fosse un crimine… e quando si tratta di fermare un camion che investe chiunque non c’è stato un poliziotto che lo ha fermato all’inizio della rambla o abbia sparato un solo colpo prima che iniziasse ad investire gente”.